I sigilli di una pergamena duecentesca conservata all’Archivio Segreto Vaticano. Intervento di restauro e conservazione

Luca Becchetti   I sigilli di una pergamena duecentesca conservata all'Archivio Segreto Vaticano

Premessa

Il documento membranaceo provvisto di quindici sigilli cerei pendenti, oggetto di questo contributo, risale al 6 giugno del 1274. Conservato all’Archivio Vaticano, nell’ambito di uno dei fondi documentari più antichi[i], tramanda un frammento interessante di storia medievale della Chiesa; si tratta, infatti, dell’atto con il quale gli arcivescovi, i vescovi e i principi tedeschi prendono visione dei privilegi concessi alla Chiesa da Federico II, con particolari riferimenti al regno di Sicilia[ii]. A conferma di quanto scritto, ciascuno dei personaggi menzionati nel documento appose il proprio sigillo per conferire vigore giuridico all’atto, secondo la prassi medioevale.
 
Da un punto di vista sfragistico i sigilli si presentano come impronte raffiguranti i rispettivi titolari nel tipo cosiddetto ad effigie di maestà assiso per la maggior parte, oltre ad uno di tipo equestre ed uno araldico. Per completezza di informazione storica rammentiamo che i sigilli, numerati da 1 a 15, sono pertinenti ai seguenti proprietari: 1) Enrico di Vistingen, arcivescovo di Treviri, 2) Werner di Eppstein, arcivescovo di Magonza, 3) Engueberto, arcivescovo di Colonia, 4) Corrado di Sternberg, arcivescovo di Magdeburgo, 5) Giselberto, arcivescovo di Brema, 6) Corrado di Lichtenberg, vescovo di Strasburgo, 7) Leone Tundorfer, vescovo di Ratisbona, 8) Bruno di Kirchberg, vescovo di Bressanone, 9) Ottone di Stendal, vescovo di Minden, 10) Federico di Torgau, vescovo di Merseburg, 11) Witigo, vescovo di Maissen, 12) Giovanni di Enstall, vescovo di Chiemsee, 13) Ildebrando di Mörn, vescovo di Eichstätt, 14) Federico, burgravio di Nürnberg, 15) Goffredo, conte di Sayn.
 
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Tale testimonianza storica presentava, ad una prima valutazione delle sue condizioni, una duplice complessità di approccio, se si considera che tanto la parte del supporto scrittorio quanto quella sfragistica mostravano un evidente ed incipiente stato di degrado.
La costatazione di questo stato di fatto ci obbliga a porre alcune riflessioni preliminari riguardo il restauro dei sigilli in generale. Il panorama attinente alla salvaguardia del patrimonio sfragistico italiano, se si eccettua l’ambito vaticano[iii], almeno virtualmente a se stante, non è confortante. Allo stato attuale dei fatti la conservazione delle collezioni sigillografiche italiane di biblioteche, musei od archivi è stata oggetto di progetti volenterosi di singole amministrazioni che hanno affidato a aziende private i restauri di così importanti beni storici. In Italia, infatti, non ci sono strutture preposte alla formazione dell’habitus professionale del maestro di restauro dei sigilli, inteso nella sua specificità. Il restauro dei sigilli, tranne pochissime eccezioni di professionalità riconosciuta, viene affidato - in alcuni improbabili casi - a quanti operano nel restauro della carta e pergamena o addirittura ignorato del tutto. Questo quadro non aggiunge grosse novità alla situazione degli investimenti legati alla tutela dei beni culturali italiani, soprattutto di quelli che, come i sigilli, non sono troppo conosciuti o divulgati.
 
La realtà internazionale d’altro canto, mostra come la tutela del patrimonio sfragistico di ogni nazione sia stata, addirittura da quasi un secolo, oggetto non solo di studio ma anche di profonda attenzione alla salvaguardia e valorizzazione. Rimontano addirittura agli inizi del Novecento i primi orientamenti di restauro dei sigilli in Svezia, Francia e Inghilterra[iv].
L’approccio al restauro sfragistico non è sempre così semplice, tanto nella fase programmatica quanto in quella realizzativa, dal momento che ci troviamo di fronte ad una realtà complessa che rispecchia la naturale morfologia di questi oggetti. In effetti, i sigilli sono composti non solo di materiali come la cera ed il piombo - già di per se molto diversi tra loro - ma anche di elementi tessili (fili di appensione), legno e latta (teche di conservazione), carta, ceralacca e così via. La presenza di differenti materiali implica naturalmente competenze specifiche ma soprattutto una definizione dei parametri di condizionamento utili ad un contesto così diversificato.
 
Il restauro: pianificazione ed intervento
L’oggetto di questo intervento di recupero, da un punto di vista materiale, è una pergamena di mm 497x310 che presenta appesi alla plica quindici sigilli di cera vergine, mediante cordoncino tubolare serico di colore rosso. La parte membranacea presentava un’evidente lacuna lungo il lato corto di destra ed alcune pieghe del lato lungo nella parte superiore sulle quali si è intervenuto, in via preliminare, con le consuete tecniche di restauro comunemente adottate nel restauro di questi materiali[v]. Una volta eseguite le pratiche di ripristino relative alla pergamena si è passati ad esaminare le problematiche riguardanti lo stato di degrado dei sigilli.
 
Il primo e più evidente problema era quello della presenza di incrostazioni e polveri depositate sulla superficie cerosa delle impronte - fenomeno diffuso nei sigilli - che non permetteva di distinguere i particolari impressi dell’immagine o della leggenda. In relazione allo stato di conservazione dei singoli pezzi si è costatato che sul totale degli esemplari solo quattro sigilli erano in buone condizioni (nn. 9, 10, 11 e 12); sei mostravano piccole mancanze di materia in prossimità del bordo (nn. 1, 2 , 3, 6, 14 e 15); tre presentavano gravi lacune (nn. 5, 8 e 13) e due erano spezzati in frammenti di grosse dimensioni (nn. 4 e 7).
La situazione, dunque, esigeva sia un intervento di restauro dei singoli pezzi, ma soprattutto un corretto condizionamento post operam,poiché al tempo della redazione del documento l’apposizione dei sigilli era stata realizzata collocando le impronte molto vicine le une alle altre con conseguente rischio attuale di urti, al più lieve movimento.
 
Da un punto di vista deontologico gli intenti programmatici dell’intervento, fatti salvi i consueti principi di conservatività, non imitatività e reversibilità, hanno pianificato, nella prima fase, una pulitura delle superfici seguita dal reintegro delle lacune, ove necessario, ed infine la riunione dei frammenti per i sigilli che ne avevano bisogno[vi]. Successivamente si è prevista la realizzazione di una scatola di cartone, adatto alla conservazione, costruita con opportuni accorgimenti per diradare l’ingombro dei pezzi ed evitare pericolosi urti ed abrasioni dei sigilli una volta restaurati.
 
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La fase preliminare della pulitura delle superfici, passo al quale i restauratori - soprattutto in ambito internazionale - danno poca importanza, è invece, a mio avviso, essenziale per l’applicazione di un intervento a regola d’arte[vii].
Il lavaggio delle superfici cerose andrebbe praticato, e soprattutto valutato, nel corso di intervalli di tempo più o meno lunghi. Un sigillo, infatti, se non pulito perfettamente, può ripresentare, una volta asciugatosi, le originarie tracce di incrostazioni e polveri.
Solo una corretta pulitura delle superfici ci mostra il vero colore della cera originale, la cui elaborazione è importante per calibrare il colore della cera da restauro necessaria al riempimento delle lacune e alla sutura delle fratture.
Ricordiamo, tuttavia, che l’operazione di asporto di quella patina che il tempo ha depositato, accrescendo in molti casi il fascino del sigillo, così delicata perché vera fase irreversibile dell’intervento di restauro, andrebbe eseguita con una certa cautela, soprattutto se si nota che le concrezioni hanno creato una massa solidale con la cera. In molti casi un asporto drastico di queste comporterebbe una grave perdita di informazioni.
L’operazione di pulitura è stata eseguita con detergenti neutri ed acqua demineralizzata, previa leggera spolveratura del sigillo con pennello a setole morbide, senza ricorrere ad impiego di solventi alcolici, pure usati da qualche laboratorio, che purtroppo agiscono con una certa aggressività sulla superficie, con conseguente rischio di compromettere la leggibilità dei particolari più lievi[viii]. Naturalmente il passaggio di un trattamento ad umido ha reso necessario l’isolamento dell’elemento tessile, mediante il quale i sigilli sono vincolati alla pergamena; attraverso questo, infatti, la potenziale risalita per osmosi capillare di acqua alle fibre avrebbe condotto umidità alla pergamena, con pericolo di danni alla parte membranacea.
Il restauro vero e proprio dei sigilli è iniziato con la preparazione della cera da restauro, necessaria per riempire le lacune e consolidare i bordi delle impronte più compromesse. Nell’ambito del laboratorio dell’Archivio Segreto Vaticano si è messo a punto un composto leggermente differente rispetto a quelli utilizzati nei vari laboratori europei[ix], usato da ormai trent’anni, che rispetta due fondamentali principi. Il primo è quello di impiegare ingredienti più simili possibili alla cera originale, evitando materiale di sintesi (cere microcristalline), mentre il secondo si impone di realizzare una cera di apporto che abbia un punto di fusione sensibilmente inferiore a quello della cera originale, per evitare pericolosi surriscaldamenti del sigillo, in un processo di intervento che per sua natura si espleta a caldo (fusione della cera moderna tramite termocauterio). Quest’ultimo concetto è essenziale anche perchè garantisce un’assoluta reversibilità degli interventi, non sempre veramente attuata negli interventi sui sigilli cerei[x].
Il composto impiegato prevede la presenza di cera vergine sbiancata e depurata, con l’aggiunta di resina damar e carnauba nelle proporzioni rispettive del 75%, 20 % e 5 % dei singoli componenti.
A questo punto si è proceduto alla ricomposizione dei frammenti dei sigilli maggiormente degradati (nn. 4 e 7), cercando di far combaciare i profili dei singoli pezzi tra loro e realizzando degli ancoraggi con la cera da restauro, opportunamente dosata con il termocauterio; naturalmente si è prestata una certa cura nell’evitare penetrazioni di cera fusa all’interno delle linee di frattura che avrebbe determinato uno scorretto allineamento dei frammenti.
Per quanto riguarda le sei impronte leggermente frammentate lungo i profili del bordo (nn. 1, 2, 3, 6, 14 e 15), la prassi di intervento ha provveduto a consolidare i punti più critici, tenendo un livello di apporto di cera moderna molto più basso rispetto al piano originale, opzione comunemente adottata negli interventi sui sigilli, ma che in questo caso è stata eseguita in modo più evidente, poiché lungo i bordi dei sigilli corre la leggenda, formata da caratteri in parte danneggiati o comunque molto labili. Questo tipo di intervento, ove non necessario, non ha ricostruito la forma originaria del sigillo.
Le impronte con gravi lacune (nn. 5, 8 e 13) sono state invece oggetto di integrazione delle parti perdute, passo necessario a dare stabilità ad esemplari che avevano una massa di un certo peso e che presentavano comunque incoerenza di materia nelle parti dei bordi. Da sottolineare il caso di un sigillo (n. 5) che presentava nella parte inferiore un maldestro tentativo di reintegro della lacuna eseguito con materiale non idoneo. Tale intervento effettuato, secondo quanto abbiamo potuto ricavare, attorno agli anni Trenta, evidenzia l’impiego di un composto contenente un’eccessiva quantità di resina che, oltre a non aver consolidato il frammento, ha lasciato evidenti e nocivi residui sulla superficie.
Tutti questi interventi di restauro eseguiti con termocauterio a caldo, come detto in precedenza, hanno evitato ovviamente (anche se non sempre la questione si mostra scontata) pericolosi contatti tra cordoni serici e cera fusa. La perizia nell’applicazione della cera da restauro, dosata a temperatura opportuna, o l’isolamento dei cordoni all’interno dei sigilli con cera manipolata a freddo ha evitato fastidiosi fenomeni di penetrazione di questo materiale che, una volta insinuatosi all’interno dell’elemento tessile, è difficilmente reversibile.
La peculiarità materiale dei sigilli di questo importante documento, che abbiamo visto essere di cera vergine, ha reso necessario un ulteriore trattamento per quegli esemplari, o parti di essi, che mostravano il noto sintomo dello sfaldamento della struttura cerosa, fenomeno su cui si è fatta una certa chiarezza solo in tempi recenti[xi]. Si tratta di un caso tipico di molti sigilli medioevali, caratteristico della cera vergine, dunque di quella cera cui non sono addizionati pigmenti coloranti, che presenta grave stato d’incoerenza o quasi polverizzazione del materiale ceroso. Secondo ricerche attendibili tale fenomeno, già notato da vari decenni[xii], sarebbe dovuto ad alterazioni chimico-fisiche della cera dovute a raffreddamenti repentini del materiale nella costruzione del sigillo o al permanere di condizioni non congrue di temperatura ed umidità nella conservazione.
Questa situazione in molti casi pregiudica la possibilità di consultare gli esemplari poiché risulta quasi impossibile la manipolazione, sia pure a fini di studio, delle impronte nelle quali è presente questo tipo di degrado.
Il protocollo di intervento messo in atto ha avuto l’obiettivo di restituire alla cera la parte grassa od elastica perduta, tramite un trattamento impregnante di cera resa liquida mediante aggiunta di trementina. In tal modo la cera, una volta penetrata all’interno del sigillo, ne ha reso la struttura più coerente e, soprattutto, ha bloccato la perdita di informazioni nei punti pulverulenti[xiii].
Un dato interessante che è stato rilevato in seguito alla valutazione di questo fenomeno è che non tutti i sigilli presentavano questi sintomi di degrado ma solo alcuni (in particolare i nn. 1, 4, 6, 7, 8, 9, 12 e 13); tale quadro potrebbe suggerire un differente impiego di materiale ceroso per la costruzione di alcuni sigilli rispetto agli altri.
Per quanto riguarda lo stato del materiale tessile, ovvero i cordoni di appensione, segnaliamo un quasi perfetto stato di conservazione, unito tra l’altro ad una raffinatissima purezza della seta impiegata nella filatura - osservata mediante analisi microscopica - che non ha richiesto alcun tipo di intervento. Solo un sigillo (n. 9) necessitava di un rinforzo del cordone, realizzato con nylon trasparente, secondo la prassi adottata nel nostro laboratorio che prevede l’impiego di questo materiale anche per motivi di buon impatto estetico[xiv].
 
Il condizionamento
La risoluzione dei problemi contingenti di degrado attuata tramite il restauro non ha esaurito le istanze necessarie ad assicurare una buona conservazione ai sigilli del documento[xv].
Come già ricordato, infatti, abbiamo costatato che un numero cospicuo di impronte appese ad un unico documento, e soprattutto così vicine le une alle altre, comporta seri rischi di urti ed abrasioni al minimo movimento. Considerando questa problematica in rapporto al fatto che questa testimonianza storica è offerta alla consultazione degli studiosi, si è cercato di elaborare una soluzione conservativa che eliminasse il movimento dei sigilli all’interno della scatola, possibile soprattutto nel momento in cui la pergamena viene spostata dai depositi alle sale di studio[xvi].
Per questi motivi, dunque, il concetto che ha ispirato il condizionamento è stato quello di isolare le singole impronte realizzando delle sedi ad hoc per ogni sigillo. Tali alloggi sono stati disposti su due piani diversi per assicurare lo spazio necessario a ciascun impronta. Naturalmente il posizionamento delle sedi è stato attuato in rapporto alla lunghezza dei cordoni di appensione, allo scopo di evitare pericolose trazioni tra elemento tessile e masse cerose. I due piani di appoggio per le sedi sono stati collegati tra loro mediante cerniere di materiale idoneo alla conservazione e, ribaltando semplicemente il primo piano, si può accedere a quello sottostante. In questo modo, almeno in teoria, lo studioso può effettuare i suoi rilievi senza neppure toccare i sigilli.
Per quanto concerne le sedi di alloggiamento delle impronte, queste sono state realizzate con materiale plastico già usato nella conservazione dei sigilli, mediante incollaggio di due elementi ad arco di cerchio che, opportunamente dimensionati e disposti lungo i profili degli esemplari, ne impediscono movimenti bruschi e al contempo garantiscono un passaggio agevole dei cordoni di appensione. Questi elementi, di varie misure e già preparati, allo scopo di consentire una composizione modulare dei pezzi secondo le evenienze, sono stati rivestiti di carta giapponese. Un ultimo elemento, fondamentale direi, incollato all’interno del coperchio della scatola consente di evitare gli spostamenti accidentali dei sigilli posti all’ultimo piano degli alloggi ed in tal modo il contenitore può addirittura essere capovolto senza il minimo rischio. Considerata la stabilità del documento, data dal peso dei sigilli rispetto alla pergamena, non è stato necessario garantire il bloccaggio di quest’ultima, come in casi analoghi, invece, è stato utile fare (con piccoli supporti di cartone).
 
Conclusioni
Come si evince da questo breve contributo il restauro e la conservazione dei sigilli, soprattutto quelli appesi in gran numero ad un unico documento[xvii], implicano una serie di valutazioni non solo tecniche ma anche storiche ed archivistiche.
Accanto all’utilità di conoscere, per esempio, la composizione delle cere medioevali[xviii] impiegate per fabbricare i sigilli allo scopo di realizzare miscele da cera da restauro compatibili, si affianca l’esigenza, solo apparentemente secondaria, di realizzare una conservazione che non stravolga troppo la naturale collocazione archivistica dei pezzi. Questo problema assume una valenza assolutamente vincolante nel momento in cui si affrontano campagne di restauro e conservazione di sigilli applicate su larga scala. Spesso, infatti, gli impedimenti materiali che non permettono di moltiplicare lo spazio originariamente destinato ai sigilli nei depositi creano seri ostacoli allo studio di soluzioni utili alla conservazione; basti pensare alle integrazioni delle parti perdute che aumentano l’ingombro di un’impronta, magari in una scatola od all’interno di un faldone d’archivio.
Altra problematica da valutare nell’ambito di una conservazione modernamente orientata è l’attuazione di parametri termoigrometrici adeguati nei depositi, per una classe di oggetti che è morfologicamente composita, come accennavamo all’inizio. Tali valori dovranno per forza oscillare tra limiti che saranno utili per cera, carta, pergamena, legno e metalli. Si tenga presente che tra tutti i parametri quello più importante è il tasso d’umidità relativa, unito possibilmente ad un impianto di circolazione di aria filtrata, allo scopo di evitare pericolosi accumuli di polvere sulle superfici[xix].
Condizioni di temperatura comprese tra i 15° e 20° C, con umidità relativa attorno al 50/55%, abbinata ad un’intensità di luce inferiore ai 50 lux, garantiscono un congruo condizionamento.
Sebbene praticata con questi parametri, non riteniamo utile una conservazione che protegga i sigilli all’interno di sacchetti, pure utilizzati in molti archivi; il rischio di abrasioni sulle impronte, o peggio, di formazioni di microclimi all’interno degli involucri è sempre elevato ed inoltre essi non permettono l’immediata visibilità e fruizione dell’esemplare, se non attraverso manipolazione.

Concludiamo ricordando che, ponendo come paradigma il lavoro effettuato e valutando il compendio di riflessioni e risoluzione di problematiche che il caso esposto mostra, così è concepita e gestita la conservazione-valorizzazione dell’ingente patrimonio sfragistico dell’Archivio Segreto Vaticano, in un impegno che ha garantito risultati tangibili e testati da trent’a

 


[i] Si tratta del documento che reca la segnatura Archivio Segreto Vaticano [=ASV], A.A. Arm. I-XVIII 85. Il fondo archivistico denominato Archivum Arcis racchiude al suo interno preziosissimi documenti medioevali, molti dei quali muniti di antiche testimonianze sfragistiche. Su questo fondo cfr. L. Pástor, Guida alle fonti per la storia dell’America latina, ASV, Città del Vaticano 1970, pp. 21-24 [Collectanea Archivi Secreti Vaticani, 2]; K. A. Fink, Das Vatikanische Archive, W. Regenberg, Rom 1943, pp. 146-148 [Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 20].
[ii] Sul contenuto di questo documento cfr. P. Kher, Die kaiserurkunden des Vaticanischen Archivs, in «Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde» 14 (1888/1889), pp. 357-375. I sigilli appartenenti a questo documento sono stati studiati da P. Sella, I sigilli dell’Archivio Vaticano, I, Biblioteca ApostolicaVaticana, Città del Vaticano 1937, pp. 65-171 [Inventari dell’Archivio Segreto Vaticano].
[iii] L’ASV attorno alla fine degli anni Settanta del secolo scorso ha creato un laboratorio di restauro dei sigilli, indipendente da quello di restauro e legatoria delle carte con personale qualificato ed attrezzature all’avanguardia che ha dato impulso ad importanti iniziative di conservazione e recupero sigillografico anche in numerosi archivi di Stato italiani. Sulle origini e le attività di questo laboratorio cfr. L. Becchetti, Il laboratorio di restauro dei sigilli dell’Archivio Segreto Vaticano. Conservazione e valorizzazione del patrimonio sigillografico. Origine , orientamenti e metodologie, in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, I, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2006, pp. 17-21 [Collectanea Archivi Vaticani 61].
[iv] In particolare in Francia è documentata l’attività di riproduzione connessa a quella del restauro dei sigilli già verso la fine dell’Ottocento. Per la storia dell’atelier parigino, tra il 1832 e il 1898 cfr. L. de La Marche, Les sceaux, Maison Quantin, Paris 1889, pp. 301-302. Da notare che anche in Svezia, già attorno alla fine degli anni Venti, si sperimentavano procedimenti su particolari fenomeni di degrado che si riscontravano nei sigilli di cera vergine sui quali, per’altro, la scienza biochimica solo pochi anni or sono ha fatto piena luce. Cfr. G. Fleetwood, Sur la conservation des sceaux de cire du moyen age deposés aux Archives du Royaume de Suède, in “Meddelanden från Svenska Riksarkivet”, 1 (1945), pp. 62-74.
[v] Non è il caso di soffermarci su questo argomento. Si tenga presente che, previa spolveratura a secco del documento, le piccole pieghe sono state distese mediante trazione della pergamena effettuata in seguito a leggero inumidimento con soluzione idroalcolica; il reintegro delle lacune à stato realizzato con carta giapponese di spessore e colore idoneo.
[vi] Sulla pianificazione degli interventi nell’ambito del restauro dei sigilli cfr. L. Becchetti, Il degrado dei sigilli di cera: approcci metodologici ed etica di restauro, in Marques d’authenticité et sigillographie. Mélangés publiés en hommage à René Laurent, Archives générales du Royaume, Bruxelles 2006, pp. 27-36.
[vii] Sulla pulitura delle superfici dei sigilli cfr. A. Zaccaria-B. Becchetti, Il restauro dei sigilli dell’Archivio di Stato di Bolzano in “I Beni Culturali, tutela e valorizzazione”, 11/1 (2003), pp. 37-38.
[viii] Nei casi in cui si ha necessità di pulire incrostazioni ostinate è possibile ricorrere all’uso dell’alcool isopropilico. Cfr. J. Murrel, A discussion of some methods of wax conservation and their application to recent conservation problems, in La ceroplastica nella scienza e nell’arte, Atti del I Congresso Internazionale (Firenze, 3-7 giugno 1975), Leo S. Olschki Editore, Firenze 1977, p. 715 [Biblioteca della Rivista di Storia delle Scienze Mediche e Naturali, Vol. XX].
[ix] Attorno alla metà degli anni Novanta il Comitato di Sigillografia, costituito in seno al Conseil International des Archives, sensibile alle problematiche del restauro dei sigilli, si fece promotore di un’indagine che, tra le altre cose, aveva lo scopo di mettere a confronto le varie esperienze dei laboratori di restauro europei sulle tecniche ed in particolare sulle miscele di cera da restauro. I risultati dell’indagine furono discussi in un incontro tenutosi a Madrid. Cfr. Conseil International des Archives, Comité de sigillographie, Table ronde sur la préservation et la restauration des sceaux, Atti del Convegno(Madrid, 5-9 juillet 1995), Asociación de Amigos del Archivo Histórico Nacional, Madrid 2000, p. 38. Si veda anche A. Scufflaire, Rapport du Comitè International de Sigillographie in “Archivum”, 14 (1964), p. 165.
[x] Sulla cera e le problematiche connesse alla sua conservazione e restauro non si dispone di una bibliografia ragionata, ad oggi. Per una traccia si vedano i titoli citati in L. Becchetti, Il laboratorio di restauro dei sigilli, pp. 17-21. Di particolare interesse è il contributo di C. Woods, The nature and treatment of wax and shellac seals, in “Journal for the Society of Archivists”, 15/2 (1994), pp. 203-214.
[xi] Cfr. lo studio di R. Cozzi, Medieval wax seals: composition and deterioration phenomena of white seals, in «Papierrestaurierung», 4/1 (2003), pp. 11-18.
[xii] Cfr. G. Fleetwood, Sur la conservation des sceaux, pp. 64-66 e G. Scheffer, Rapport sur les méthodes de conservation des sceaux appliquées aux Archives Nationales de Suède, in Études concernant la Restauration d’archives, de livres et de manuscrits, Drukkerij George Michiels, Bruxelles 1974, pp. 155-158 [Archives et Bibliothèques de Belgique, Numéro spécial 12].
[xiii] Si veda anche il procedimento per il consolidamento dei sigilli di cera vergine illustrato da S. Heim-L. Karlsson-M. Lund Petersen-B. Nyqvist, Seal conservation: a new method for vacuum treatment of porous seals, in «Paper Conservation News», 80 (1996), pp. 7-8.
[xiv] Il sigillo n. 15 è stato riposizionato secondo l’originaria disposizione del nodo di appensione solo dopo il reintegro della lacuna del supporto scrittorio, senza effettuare interventi sull’elemento tessile che si presentava in ottimo stato di conservazione. Sulla pratiche relative al restauro dei sistemi di appensione cfr. L. Becchetti, Il laboratorio di restauro dei sigilli, p. 14.
[xv] Assicurare una buona conservazione ai sigilli in molti casi è più utile che intervenire con il restauro. Cfr. le tesi di M. Carmona, Restauración y prevención de daños en la conservación de sellos, in Actas del primer coloquio de Sigilografia, Madrid, 2 al 4 de abril de 1987, Dirección de los Archivos Estatales, Madrid 1990, p. 174.
[xvi] Le dinamiche di conservazione-fruizione dei sigilli sono esaminate a fondo da T. Diederich, Die Erhaltung von Siegeln. Eine vordringliche Aufgabe des Denkmalschutzes für die Archive in “Der Archivar”, 34 (1981), pp. 379-388.
[xvii] L’ASV conserva un documento che ha appesi addirittura 242 sigilli in teche di legno (solo in parte impressi) ed un altro con 85 sigilli in teche di latta pendenti. Si tratta rispettivamente del celebre accordo tra la regina Cristina di Svezia e il parlamento svedese per la rinuncia al trono, con conseguente abiura della religione protestante (1654), e dell’atto di richiesta di annullamento al papa Clemente VII del matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona (1530). Cfr. ASV, A.A. Arm. C 1224 e A.A. Arm. I-XVIII 4098 A.
[xviii] Numerosi ricettari antichi tramandano interessanti procedimenti per la fabbricazione della cera destinata alla fabbricazione dei sigilli. Cfr. R. Büll, Vom Wachs, Wachs als Beschreib und Siegelstoff Wachsschreibtafeln und ihre Verwendung, Verlag Callwey, München 1977 ma anche L. Becchetti, Il laboratorio di restauro dei sigilli, p. 8 nota 10.
[xix] Sui problemi derivanti dagli accumuli di pulviscoli sulle superfici cfr. R. Kowalik- I. Sadurska, Air microorganisms destroying paper, leather and wax seals in archives, in “Acta Microbiologica Poloniae”, 5 (1956), pp. 277-284.
 

 

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