La costruzione del sigillo, ossia l’atto dell’impressione, rappresenta il momento cruciale del lungo iter di formazione del documento cancelleresco.
I sigilli aderenti di cera venivano apposti previo raschiamento del supporto scrittorio, atto che, rendendo ruvida la pergamena, permetteva al composto di ancorarsi ad essa in modo durevole; in altri casi la cera veniva colata su tagli o scanalature, anche articolate, che contribuivano a creare punti di appoggio stabili per il supporto ceroso. In alcune cancellerie era invalso l’uso di interporre tra questi tagli e la cera sottili strisce di pergamena incrociate o piccoli cordoncini: lo scopo, anche in questo caso, era quello di creare, per la cera, zone stabili di vincolo.
I sigilli di cera sotto carta, erano impressi interponendo tra cera calda e matrice uno strato cartaceo che generalmente aveva la forma di quadrato o losanga; allo stesso modo si procedeva per la carta.
Le impronte pendenti erano realizzate facendo passare il sistema di vincolo attraverso una piegatura fatta nella parte inferiore del supporto scrittorio, detta plica. Questa, costituita allo scopo di rinforzare il lato del documento sottoposto alla trazione del sigillo, veniva forata in due o più punti, denominati oculi, che permettevano il passaggio del cordone; l'elemento di appensione era annodato sotto la plica e i suoi lembi terminali erano inglobati nella massa cerosa ammorbidita, pronta a ricevere l’impressione della matrice.
In molti casi lo strato di cera impresso era alloggiato in un piccolo guscio, anch'esso di cera, che fungeva da capsula di protezione, denominata culla. Oltre alla culla cerea con dorso arrotondato e bordo alto, si trovano anche teche di legno o metallo; in esse, prima dell’impressione della cera, si creavano gli alloggiamenti per far passare i cordoni disposti tra cera e teca protettiva.
L’impiego di queste, dapprima di latta nel XIII sec, e poi di legno nel secolo successivo, provviste talvolta di coperchio, testimoniano gli intenti di proteggere il sigillo in modo sempre più scrupoloso.
Nell’età rinascimentale si trovano straordinari esempi di teche di metalli pregiati come ottone, oro, argento ed avorio.
Per le bolle plumbee, si prevedeva dapprima la confezione di una sfera metallica, forata lungo il suo diametro, entro cui era alloggiato il cordone; la bolla era poi sottoposta a schiacciamento tra le matrici (recto e verso) che recavano i particolari iconografici incisi.
Gli strumenti utilizzati per questa operazione, ebbero un’evoluzione nel corso delle epoche. Fu usato dapprima il semplice conio mobile, uno strumento su cui era montata la matrice, che veniva percosso sull’incudine con un martello. Seguì poi, il cosiddetto boulloterion, una specie di tenaglia che recava alle sue estremità le due matrici che venivano impresse, anche in questo caso, con un colpo di maglio; con tale sistema, rispetto al conio mobile, era più facile evitare gli slittamenti della sfera metallica, in seguito alla percussione.
Nelle epoche successive si passò a metodologie di fabbricazione più complesse che prevedevano l’impiego di presse o torchi di notevoli dimensioni i quali generavano, gradatamente, la forza necessaria per imprimere la figura sul metallo, rendendo il processo di sigillatura molto più rapido.
Per la costruzione dei sigilli d’oro, data la particolarità del materiale, si seguivano procedimenti differenti. Alquanto rare sono, infatti, le bolle d’oro piene, che si potevano ottenere con i sistemi impiegati per la fabbricazione di quelle plumbee. Nella maggior parte dei casi i sigilli d’oro sono costituiti da due sottili lamine, impresse in tempi diversi dalle matrici ed unite tra loro in un secondo momento, tramite particolari procedimenti. Si potevano ripiegare direttamente i margini di una lamina sull’altra oppure si ribaltavano su un supporto circolare che le distanziava. Se le lamine erano di un certo spessore, si preferiva saldarle ad una fascia o tra loro; si segnalano casi in cui le lamine delle due facce formano una vera e propria scatoletta che si serrava ad incastro, mediante pressione. Alcune fonti testimoniano che, durante l’età rinascimentale la costruzione del sigillo avveniva per fusione e ritocco al cesello, secondo i canoni usati per le incisioni delle matrici, in questo caso ovviamente, al positivo.